Canto di Natale
Canto di Natale
L’ufficio
è un bugigattolo con 2 scrivanie in disordine e una porta aperta su un’altra
stanza illuminata a neon. E’ stridente il contrasto col vialetto che vi
conduce, ornato di piante ben curate e una fontanella con un giro d’acqua
scacciapensieri. L’uomo in borghese fuma fuori dal bugigattolo, dentro tre
uomini: due in divisa e un altro, un po’ grassoccio e dall’aria spaesata, in
abiti civili. E’ il passaggio fra la prima e la seconda porta carraia, percorso
obbligato per chiunque vuole (o deve) entrare nella prigione borbonica di
Palermo.
Alla
prima porta, dopo aver mostrato i documenti, abbiamo lasciato i cellulari e
qualsiasi altro ritrovato della tecnologia che potrebbe compromettere la
sicurezza una volta dentro.
Il
protocollo del ministero adesso vorrebbe snidare qualsiasi cattivo pensiero:
lei è il fotografo? Lei è il giornalista? Quale testata? Segue telefonata
nemmeno concitata ma non risultiamo in elenco. Scusate, 5 minuti, mi dispiace
ma dovete firmare un’autocertificazione. Data di nascita, luogo, residenza,
eventuali processi penali in corso, eventuali parenti di primo, secondo e
ultimo grado che sono incappati nelle maglie della Giustizia. Niente da
eccepire. Firmiamo. A un punto c’è scritto che se un domani ciò che abbiamo
dichiarato dovesse mutare – per esempio l’arresto o l’implicazione in qualcosa
di losco di un nostro congiunto – abbiamo l’obbligo di darne comunicazione alla
direzione della prigione. E’ fatta. Non c’è voluto nemmeno troppo tempo. La
guardia carceraria che ha condotto la procedura si alza, s’inframmezza con fare
deciso fra me e il fotografo, ci mette una mano sulla spalla come vecchi amici
e con un sorriso a voce calda scandisce: Benvenuti all’Ucciardone.
E’
Natale, il periodo più duro per i detenuti ma anche per i secondini che
incappano nella sfortunata turnazione. Lontano dalla famiglia e dalla
tranquillità del tinello di casa. Solo i primi non hanno nessuna possibilità di
scelta. Tranne quella che a suo tempo li ha spediti qui dentro. C’è la
solidarietà di tante persone, gruppi, associazioni di volontariato che ruotano
attorno alla struttura e che cercano di avvicinare le vite dei reclusi, di
renderle simili almeno in questo periodo dell’anno alle vite degli altri.
Guardie comprese, perché entrambi in ogni caso passano parte della loro vita
dentro queste mura tanto spesse quanto vecchie.
Il
Sert Palermo 4 guidato dal dottor Sergio Paderi, psichiatra, che segue con attenzione
le tossicodipendenze dentro il carcere ma non può fare a meno di notare i
segnali di un disagio che non è solamente sociale e nel tempo rimarca una
diversità culturale che è la linea Maginot fra il mondo esterno e la vita
dentro la prigione, ha organizzato – in collaborazione con gli Amici della
Musica di Palermo e supportato dalla Asp di appartenenza – un concerto Gospel
per i detenuti. Non a caso la scelta è caduta sul Gospel, ossia vangelo,
letteralmente buona novella. Il
gruppo palermitano Gospel Project porta le note della buona novella fin dentro
il primo piano della terza sezione e dirimpetto un braccio ancora chiuso perché ristrutturato da poco, nel piccolo,
buio e affollato teatro dell’Ucciardone.
Ucciardone
che deriva dal siciliano u ciarduni,
a sua volta dal francese chardon che
vuol dire cardo: un tempo questa pianta commestibile veniva coltivata nel
terreno in cui poi sarebbe sorta questa imponente struttura, che ricadrà in
piena città e che iniziò la sua attività nel 1842 con il trasferimento dei
detenuti dallo storico carcere della Vicaria. Il coro Gospel per un’ora intensa
come un giorno ha riavvolto il nastro.
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