mercoledì 28 novembre 2012

Casco obbligatorio pure per chi va in bicicletta?

Nella prima pagina del Corriere dell’altroieri*, taglio basso,  c'è la "proposta ai ciclisti" di Scaparro che suggerisce l'uso del casco.
Non mi trovo d'accordo e vorrei esporre il mio punto di vista.
Nell'incipit, il noto psicoterapeuta mette due cifre per dimostrare la pericolosità del mezzo e scrive: "nel solo 2009 i ciclisti morti in Italia in incidenti stradali sono stati 294",.
Indi per cui, casco obbligatorio e via a cominciare da Milano, città dove Scaparro vive e lavora. Esempi ci vogliono. Soprattutto per la temeraria categoria dei ciclisti di cui egli stesso – a dispetto della lontana data di nascita, anche geografica, è nato a Tripoli nel 1937 – scrive di far parte e di cui dice: "Molto spesso mettono a repentaglio l'incolumità propria e altrui guidando la bici in modo sconsiderato. Facciamo come in tante altre città del mondo e rendiamo obbligatorio l'uso del casco per i ciclisti. Vorrei che Milano desse un segnale in proposito a tutto il Paese."  
Ora, a parte che i ciclisti generalmente hanno una velocità media modesta, come modesta è nelle grandi città specialmente del Belpaese sia la velocità media dei servizi pubblici che dei privati con numeri che fanno ridere (anche 12 Km/h per gli autobus) e superiori non di molto a una bella camminata a piedi di un soggetto allenato e in buona salute.
Un essere umano cammina normalmente con velocità comprese fra 3 e 5 Km/h e corre fra i 10 e i 36 Km/h, la maggior parte delle automobili ha una velocità massima compresa tra i 150 e i 220 Km/h mentre in bicicletta nelle città congestionate si pedala attorno ai 15/20 Km/h. Certo, in un cavalcavia si potranno raggiungere i 30/40 Km/h nel verso giusto ma nella parte in salita si può scendere anche a 5/7 Km/h. Viceversa, non per forza il solito Suv del solito parvenu ma una Smart (beh, siamo lì) col cambio automatico: bastano appena qualche centinaio di metri di strada libera e il guidatore frustrato da una sfilza infinita di file code e semafori affonda il pedale dell'acceleratore per raggiungere i 100 all'ora. E se nel frattempo la pista è occupata dal povero ciclista di turno e senza casco pazienza. Questi sono perlopiù gl'incidenti che coinvolgono i ciclisti nelle grandi città. Trascinati e schiacciati. Schiacciati e trascinati. Maciullati. Fracassati. Sbattuti su di un palo, una vetrina, un muro. Ossa frantumate, bacini rotti e traumi toracici a go go: un’armatura servirebbe, altro che il casco (leggero e mai paragonabile ai veri caschi per andare in moto) attualmente in uso a professionisti, cicloamatori amanti delle Gran Fondo e a chiunque voglia indossarlo. Oppure, la panacea di tutti i mai (dei ciclisti): una bella pista ciclabile come ce ne sono in Francia, Austria e via dicendo. Che è l’idea di Pierfrancesco Maran, giovane assessore alla Mobilità, Ambiente, Arredo urbano e Verde di Milano ma, per come scrive Scaparro: "E’ l’autunno delle promesse e delle piste ciclabili (annunciate). A Milano l’assessore Pierfrancesco Maran vuole percorsi protetti per almeno cento chilometri. Intento lodevole, lo dico senza ironia, ma un po' impegnativo." Di lì il te deum in favore di un più immediato rigore: casco subito ben allacciato. 
Ma se In Italia, secondo i dati Istat–Aci, nel 2009 a causa di incidenti stradali sono morti 667 pedoni di cui un terzo investito sulle strisce, cosa facciamo, mettiamo il casco pure ai pedoni? Oppure diciamo a Marchionne e ai suoi colleghi di costruire automobili che vanno al massimo a 60 Km/h.
Le città, sono i luoghi dove avviene la maggior parte degli incidenti. Nel 2009 in Italia, per restare all’anno preso in esame da Scaparro, che poi è l’ultimo dato disponibile, il 76% degli incidenti si è verificato su strade urbane, causando oltre 223 mila feriti e quasi 2000 morti. Con oltre 21 mila incidenti il mese di luglio è stato quello più colpito, con la media giornaliera maggiore (705 incidenti al giorno), mentre nel mese di agosto è stato rilevato un più alto indice di mortalità (2,5 morti ogni 100 incidenti), livello connesso al maggior tasso di utilizzo dei veicoli in occasione degli esodi estivi. Non sappiamo se le biciclette rientrano nel veicolo tipo del vacanziero italiota ma non sembra, così, a occhio.
Sempre in Italia, et voilà 626.760 auto blu, il numero più alto al mondo. Gli Usa, che sono secondi, ne hanno 72 mila, la Francia 61 mila, il Regno Unito 55 mila e la Germania 54 mila. Un numero impressionante il nostro che corrisponde alla metà dei mezzi che circolano a Milano e a un numero di veicoli che potrebbero coprire tutte le corsie, nord e sud, della Roma–Milano. Veicoli che spesso vediamo sfrecciare a gran velocità in qualsiasi città. Praticamente senza limite alcuno di circolazione, di posteggio, e purtroppo con scarsa attenzione per la maggior parte dei cittadini che invece devono (dovrebbero) rispettare leggi e regolamenti e che comunque se presi in castagna pagano pegno.
Ma dopo l’approvazione dell'emendamento del senatore Cosimo Gallo (Pdl) che esenta dal ritiro dei punti dalla patente gli autisti delle auto blu il divario fra normali utenti della strada e casta aumenta e conseguentemente aumenta anche il pericolo per chiunque si trovi a intralciare la strada di un qualunque politicante sia esso ministro sottosegretario o chissà chi. Che facciamo, mettiamo il casco pure a loro? Magari una camicia di forza.
Infatti, il senatore Gallo, dopo esser stato sui privilegi pungolato, ha dichiarato: "Ma che casta e casta! Spesso è il politico a chiedere all'autista di accelerare, magari perché l'aereo è arrivato in ritardo e c'è un appuntamento importante: Non è giusto che la fretta del datore di lavoro ricada sull'autista". Nemmeno appare decente però che ci vada di mezzo la gente. La Legge è uguale per tutti o ci sono cittadini di serie A, cittadini di serie B e cittadini (sia pur col casco) di serie C? E poi, senza malizia ma di questi tempi la Ragion di Stato negli onorevoli appuntamenti spesso si arena in piacevoli appartamenti. 
Chiudiamo con qualche crudo numero.
Innanzitutto, per completezza d’informazione e, chissà magari forniamo uno spunto per una svolta importante a Fulvio Scaparro, il breve elenco dei Paesi che adottano il casco per i ciclisti. Più o meno obbligatorio.
Australia, Nuova Zelanda, Finlandia: obbligatorio per tutti; Islanda: obbligatorio fino a 15 anni dal 1999;  Repubblica Ceca: obbligatorio fino a 15 anni e fino a 18 dal 2006; Canada: in alcuni Stati obbligatorio fino a 18 anni (leggi locali); Spagna: obbligatorio sulle strade extraurbane; Giappone: obbligatorio fino a 13 anni; Usa: da nessun obbligo ad obblighi che variano da 12 anni a 18 ad obbligo per tutti (leggi Stato per Stato); Svezia: obbligatorio fino a 15 anni dal 2005; Israele: obbligatorio per tutti dal 2007 (norma poco applicata); Sud Africa: obbligatorio per tutti dal 2004 (norma poco applicata).  
Infine, un occhio al portafoglio, mentre il default minaccia a destra e a manca non è poca cosa.
In Europa, pedoni, ciclisti e motociclisti costituiscono circa il 39% delle vittime della strada e, mediamente, i Paesi a basso e medio reddito hanno un numero complessivo di incidenti pari al doppio di quello dei Paesi industrializzati. Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte nei giovani di età compresa fra i 5 e i 29 anni e hanno un impatto sulle economie dei singoli Paesi superiore al 3% del prodotto interno lordo.
Dunque bisogna capire se l’uso del casco (e le relative stime di vendita) possa raggiungere e superare questo maledetto 3%.
Oppure, il casco deve girare.
* Corriere della Sera – 28/09/2011








0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page